È questa la frase che mi ha dato lo spunto per scrivervi queste righe. Ma non credo che il messaggio del Natale possa essere ridotto a uno slogan, a una frase proverbiale. Tra i tanti temi connessi con la venuta del Signore nella carne non sarei in grado di scegliere quello più importante, né quello più adatto alla nostra condizione. In ognuno di noi certamente il Signore ha già attivato un percorso. Perché egli desidera davvero giungere al cuore di ciascuno. E non mancherà di farlo. Per ognuno un percorso diverso. Perché è lì che desidera nascere: nel nostro cuore che ritorna ad essere di carne.

Non sarà la nostra attenzione, il nostro impegno e nemmeno l’attesa estenuante a partorire il miracolo del Natale, ma solo la sua fantasia prodigiosa che ogni volta sceglie la strada più improbabile e dimessa.

Certo l’umiltà e la povertà del presepe sono una tappa obbligata del nostro accostarci al mistero del Natale, forse persino la più importante. Al patto però, di non farle diventare dei principi della speculazione o della morale.

Non mi serve per ricordarmi che devo essere povero o che devo accogliere i poveri. Non ci sarebbe bisogno che venisse Natale a richiamarlo alla mia attenzione.

Nel Natale invece succede un’altra cosa: la povertà brilla come una gemma preziosa e il buio più tetro permette di cogliere la luce di una fiammella altrimenti invisibile.

Non è tanto alla povertà che devo guardare questa volta: ma alla povertà di Gesù, che è diventata la fonte più grande della nostra ricchezza. Questo è ciò che mi stupisce. E ogni volta è nuovo.

A volte per sottolineare il vero Natale ci lasciamo prendere dalla tentazione di distruggere con orrore tutte le rappresentazioni fasulle e vuote, ad esempio quelle del natale consumistico, delle luminarie che si accendono due mesi prima, degli spettacoli televisivi e delle sparate della politica.

Non dico, per carità, che non si debba mantenere un occhio attento sul sistema che altrimenti finisce per corromperci del tutto e rubarci la gioia del Natale… ma pensateci un secondo: dopo aver fatto l’ennesima filippica contro queste cose, per caso abbiamo recuperato una sola briciola della gioia che andiamo cercando? No. Anzi: tutto il contrario. Sembra quasi il metodo migliore per rovinarsi quel poco di poesia che ci è rimasta.

Abbiamo 364 giorni per deprecare la balordaggine dei nostri tempi. Ma per un giorno almeno proviamo a fare diversamente: sbalordirci. Che è tutta un’altra cosa.

Vedete, c’è sempre una risposta diversa, una alternativa. Basta cercarla. Il mondo non vive il Natale come dovrebbe? Comincia tu. Ma non col metterti in contrapposizione e facendo gesti dimostrativi. Vivilo e basta.

E poi scusate: chi ci da il diritto di giudicare chi il Natale non lo vive? Cristo è venuto anche per loro, anzi forse soprattutto per loro. Possiamo noi arrogarci il diritto di difendere il Natale dai soprusi che subisce in ogni parte del mondo? Di metterlo al sicuro al riparo da sguardi indiscreti? Sarebbe il modo migliore per distruggerlo.

Il Natale è di tutti, qualunque cosa poi decidano di farne. Non è come per le altre cose. È l’unica moneta che non può essere sperperata, non conosce inflazione o svilimento.

Ha un modo tutto suo di difendersi: si fa bambino innocente e indifeso. È questa la sua protezione più potente. Il suo essere totalmente inerme. È questa la bellezza sulla terra. L’unica parola che il mondo non può soffocare.

Non rischia certo di invecchiare o di restare lettera morta. Non è grazie a noi che rinasce ogni volta. Questa sua virtù che il mondo gli invidia non gliela può in alcun modo sottrarre. Il suo segreto l’ha sbandierato ai quattro venti, ma nessuno intende copiarlo: per rinascere occorre saper morire.

E allora se non vi dispiace io quest’anno voglio perseverare ostinatamente nel fare un’unica cosa: stupirmi di quello che c’è e non di quello che non c’è.

Voglio stupirmi delle mamme e dei papà che nonostante i milioni di impegni e preoccupazioni stanno già cercando di creare l’atmosfera giusta per i loro bambini.

Dei bambini, che sanno vivere il Natale anche se nessuno glielo ha mai insegnato, perché gli viene naturale.

Degli anziani, che hanno già collezionato molti Natali, ma non pensano neppure un istante a perdersi questo che viene.

Degli ammalati, che giacciono in un letto come il bambino giaceva nella mangiatoia: nella loro carne Cristo si fa presente come nella carne tenera del Bambino.

Delle persone sole, che come nessun altro possono godere della compagnia di Gesù, perché nessuno come lui conosce cosa sia la solitudine. Di coloro che piangono una perdita, perché sanno fermare le lacrime davanti al sorriso del Bambino.

Dei poveri, che nonostante tu non sia capace di un gesto di amore non cedono al risentimento, ma sanno dire: “Grazie lo stesso”.

Delle persone di buona volontà che sono molte di più di quelle prigioniere del male.

E perché no. Anche di me stesso voglio stupirmi. Di non avere ancora imparato la lezione del Natale.

Buon Natale a tutti

Don Alessio